L’importanza della formazione storica in materia finanziaria

  • Stampa

 

 

Un’attività nel settore finanziario richiede una formazione professionale ben diversa a seconda che essa venga esercitata all’interno di strutture bancarie oppure come consulenza al di fuori di tali strutture.Luigi Gulizia economia

Il motivo sta nel fatto che assolutamente diverso è il fine perseguito dalle banche attraverso promotori finanziari e dipendenti dal fine di un’attività di consulenza che è un tipico rapporto fiduciario tra consulente e cliente. 

Premesso che l’evoluzione storica dell’ultimo trentennio ha sancito la scomparsa della tradizionale distinzione tra attività creditizia e attività cosiddetta d’investimento con l’unificazione sostanziale dei ruoli in capo ai soggetti bancari d’ogni genere, bisogna chiedersi a che cosa tenda l’operato di questi ultimi.

Partendo dal loro inquadramento nel capitalismo commerciale, alfa e omega dell’intero capitalismo economico, è ovvio che l’unica direzione nella quale essi si muovono è la realizzazione di un profitto.

Attraverso che cosa questo è raggiungibile? Attraverso un atto di vendita di merci in quello che è denominato, con un’aura di sacralità monoteistica, il “mercato”.

Dunque, sgombrando il campo dalle tante frottole raccontate da paludati “economisti” e grigiovestiti “finanzieri”, si tratta di conseguire un profitto con una organizzazione di venditori.

Ma a costoro quali risorse necessiteranno per svolgere il loro lavoro? Forse che avranno bisogno di particolari risorse intellettuali e, quindi, di una formazione culturale approfondita riguardante il settore nel quale sono inseriti?

Assolutamente no!

Il venditore, qualunque sia la merce che vende, ha solo bisogno di conoscenze tecniche  in ordine a ciò che vende in modo da poter distinguere una lavastoviglie da un frigorifero oppure un future da un certificato di deposito.

Pertanto è questo tipo di formazione che riceveranno, nella struttura di vendita, coloro che vi sono addetti e la cui sopravvivenza è determinata dal livello di profitti generati nel comune interesse.

Il quadro cambia radicalmente se ci spostiamo verso un’attività di consulenza dove i due soggetti del rapporto, consulente e cliente, sono pur sempre legati da uno scambio monetario che, però,  in questo caso non avviene con una vendita di merci, ma attraverso la prestazione di un servizio.

Prestare un servizio implica presentarsi come soggetto in grado di trovare soluzione ai bisogni di un cliente in rapporto alla sua specificità.

Svolgere consulenza in materia finanziaria significa, pertanto, essere in possesso di conoscenze riguardanti l’intero settore finanziario che permettano di individuare gli strumenti più idonei a soddisfare le esigenze del cliente.

Stiamo parlando, evidentemente, di conoscenze squisitamente tecniche che, in parte, riconducono all’attività di vendita esercitata dagli altri soggetti legati alle strutture bancarie.

Si tratta di riferimenti imprescindibili poiché su di essi poggia l’analisi tecnica delle  caratteristiche dei diversi oggetti utilizzabili in funzione non del profitto dell’industria finanziaria, ma dell’interesse del cliente.

Dunque, questa base tecnica costituisce la prima dotazione di un consulente per lo svolgimento della propria attività. 

Al tempo stesso, un rapporto consulenziale non potrà mai essere definito come “servizio d’investimento” perché qui non si tratta di attività di vendita o di gestione patrimonialea, ma di individuazione di soluzioni finanziarie la cui messa in opera resta demandata, di necessità, a una struttura bancaria dalla quale il consulente è indipendente così sfuggendo al conflitto d’interessi.

L’attività del consulente finanziario è, dunque, una tipica “prestazione d’opera intellettuale” inquadrabile nell’art.2229 e seguenti cod.civ. e disciplinata dall’art.2222 cod.civ. per quanto riguarda il contratto con il cliente che è, appunto, un contratto di prestazione d’opera senza obbligo di risultato: vedasi, in proposito, l’ottimo articolo contenuto nel sito internet http://www.centrostudifinanza.it .

Tuttavia, il requisito dell’indipendenza del consulente, pur essendo certamente prioritario nell’ambito del rapporto di clientela, non è di per sé sufficiente a garantire una professionalità che, anche quando in possesso di una vasta e completa tecnicalità, non può ritenersi pienamente tracciata. 

Il discrimine vero, infatti, sta nel possesso di una conoscenza aggiuntiva che inquadra la materia finanziaria nel suo scenario storico attraverso origini e sviluppo.

In sostanza, poiché il consulente non è nè un venditore né un prestatore di servizi d’investimento, ma un prestatore d’opera intellettuale, egli è naturalmente tenuto a possedere la coscienza del quadro clinico entro il quale si colloca la materia della quale si occupa e che giustifica il compenso economico richiesto al cliente.

Vogliamo dire che il requisito dell’indipendenza non è affatto sufficiente a porre una barriera qualitativa tra venditore e consulente per il semplice motivo che il primo è lavoratore comunque dipendente, al di là del modello contrattuale in essere con la società madre, mentre il secondo sarebbe un lavoratore totalmente autonomo: differenza che, come si comprende, non basta a introdurre un aspetto qualitativo realmente significativo pur in assenza del conflitto d’interessi.

Occorre chiedersi, infatti, a coronamento di una istruzione tecnica indispensabile, che cosa sia il capitalismo finanziario laddove la risposta sta nell’ovvio desiderio d’incremento dei quantitativi monetari posseduti.

Un desiderio siffatto nasce, dunque, sul terreno della proprietà privata e, per sua  natura genetica, evolve verso uno spirito di avidità assolutamente illimitato.

Le tappe del percorso seguito dall’istituto della proprietà privata ha segnato gli ultimi millenni della storia umana passando dal latifondo al feudalesimo fino al capitalismo commerciale da una costola del quale è sorto il capitalismo finanziario.

Quest’ultimo occupa il tempo degli ultimi cinque secoli e ha rappresentato il culmine evolutivo dello spirito di avidità che è il sintomo di un violentissimo disturbo psichiatrico propagatosi nella totalità del complesso sociale.

Ciò dà ragione alla precedente affermazione per la quale il quadro di riferimento del consulente finanziario è il quadro clinico di una malattia mentale da cui è affetto il suo cliente come componente di una società malata.

Lo stesso consulente è portatore della malattia esattamente come lo psicologo che  ben sa che tale diventa in virtù delle proprie problematiche psicologiche.

è evidente, a questo punto, che strumento altrettanto indispensabile nel bagaglio professionale è lo studio delle radici del fenomeno finanziario e la sua storicizzazione contrassegnata da una ciclicità meccanica per effetto di meccanismi di funzionamento sempre identici ancorchè in abiti apparentemente cangianti.

Occorre, allora, che il consulente si doti di una completa formazione storica in materia di finanza e di moneta in modo da acquisire la consapevolezza dell’universo nel quale si muove insieme al cliente del quale deve essere la guida più affidabile.

Naturalmente questo non significa assumere la veste del veggente in grado di predire le esatte date temporali nelle quali si avvicenderanno i cicli finanziari, ma essere coscienti che comunque essi ci saranno destituendo di fondamento la frottola del famoso “lungo periodo” (in realtà “eterno presente”) nel quale saccenti e interessati strateghi indicano la collocazione del tempo dell’”investimento”.

Lo studio della storia della finanza e della moneta permette di decrittare le vicende politiche ed economiche nei loro intrecci internazionali passati, presenti e futuri rivelandosi, in tal modo, bussola infallibile nel complesso gioco del capitalismo mondiale e delle sue conseguenze d’ogni genere.

Ma ciò permette anche, ed è questo l’aspetto principale della questione, rendersi conto che l’intero gioco è saldamente in mano a pochi attori sempre vincenti che guidano le sorti collettive, incluse quelle dei clienti del consulente, sempre perdenti.

Ecco perché è importante sapersi orientare, orientando il cliente, in un mare con tempeste e bonacce nel quale occorre una scialuppa che cerchi di evitare il naufragio.

 

7 febbraio 2010