Socialismo della spesa e capitalismo di rapina

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La vicenda greca ha ovviamente offerto lo spunto per varie riflessioni ed analisi sul futuro Luigi Gulizia economiaprossimo venturo.

Una di queste riflessioni ci è parsa particolarmente degna di nota per la critica radicale che suscita circa le ipotizzate conseguenze degli attuali eventi europei.

L’articolo, a firma Angelo Panebianco, è stato pubblicato sul sito internet del “Corriere della Sera” del 18 c.m. (http://www.corriere.it/editoriali/10_maggio_18/panebianco-fine-socialismo-spesa_49) e reca il titolo assai significativo “La fine del socialismo della spesa”.

Nello scritto in questione si sostiene che “… se persino il carattere universale delle prestazioni di welfare (che comunque, ancorchè ridimensionate, sopravviveranno) rischia di essere messo in discussione a causa della scarsità delle risorse e della conseguente necessità di scegliere i soggetti a cui erogare le prestazioni e i soggetti da escludere, il socialismo finisce per perdere gran parte della sua ragione sociale.”.

Il socialismo a cui si riferisce l’autore sarebbe quello greco, spagnolo e portoghese il quale sembrerebbe rispecchiare “… il fallimento definitivo del “socialismo della spesa”, la sua, ormai irreversibile, insostenibilità finanziaria.”

Ora, definire “socialisti” paesi come Grecia, Spagna e Portogallo ci sembra dimostri una notevole dose di fantasia economico-politica perché non risulta affatto che in tali paesi siano al governo Soviet leninisti e che il capitalismo sia stato definitivamente cancellato dalla struttura economica e sociale degli stessi.

Ciò premesso, tuttavia, quel che indurrebbe a preconizzare la fine del “socialismo della spesa” sarebbe la sua “insostenibilità finanziaria” data la “scarsità delle risorse”.

Bene.

Osserviamo prima di tutto che il cosiddetto “welfare” europeo è niente altro, nella migliore delle ipotesi, che una limitata ripartizione di proventi fiscali a favore di fasce di cittadini occupanti gli ultimi posti della piramide sociale.

Si tratta, dunque, di un semplice correttivo alla strutturale disuguaglianza insita nel regime della proprietà privata e del mercato capitalistico per mantenere una minima pace nella insopprimibile base conflittuale del capitalismo stesso.

Ciò non toglie che questo correttivo abbia trovato, progressivamente e rapidamente, una macroscopica estensione verso categorie di parassiti d’ogni genere generatori di consenso politico verso gli organi di governo di qualsiasi colorazione.

Se a questo aggiungiamo le spese faraoniche per il mantenimento delle classi politiche, burocratiche e religiose nonchè la corruzione vertiginosa autogeneratasi come sistema normale di vita il quadro diviene decisamente ancor più pesante.

Non possiamo, però, dimenticare neanche spese militari semplicemente folli quanto inutili “per il mantenimento della pace in difesa della della democrazia e della libertà dal terrorismo”.

Nè possiamo dimenticare i colossali livelli di evasione fiscale presenti in ogni paese e nascenti pur sempre dagli “spiriti selvaggi” di un’economia proprietaria capitalistica il cui fine primo e ultimo è la soddisfazione di uno sconfinato quanto insensato egoismo che trova nella Finanza delle Borse mondiali il suo autentico teatro operativo.

Abbiamo dimenticato qualcosa? Può darsi poiché non c’è fondo in una rappresentazione di tal genere.

Se, dunque, il “socialismo della spesa” di cui parla Panebianco finisce con il restringersi, in realtà, soltanto alle misere prestazioni alle fasce più deboli allora sembra veramente difficile appellarlo con tale definizione.

Se, invece, il “socialismo della spesa” ricomprende tutte le elencazioni successive (scusandoci per quanto possiamo aver dimenticato) allora il suo nome vero muta in “capitalismo di rapina” .

In questo caso quello che potrà verificarsi è, più propriamente, non la fine di un “socialismo della spesa” assolutamente inesistente quanto la soppressione, più o meno marcata, delle minime elemosine stanziate a favore di sempre più numerosi soggetti derubati di vita e di futuro.

Il che si concilia perfettamente con la severa asserzione di una “insostenibilità finanziaria proveniente da risorse limitate”.

Diceva il grande Epicuro che i bisogni umani da soddisfare uguali per tutti sono: “non aver fame, non aver sete, non aver freddo” .

Più tardi Marx sviluppò tale concetto individuando il vero “socialismo della spesa” nella proprietà collettiva dei mezzi di produzione quale fulcro di un’esistenza umana finalmente liberata dalle fauci vampiresche della proprietà capitalistica.

Questo porta a riconoscere le risorse limitate esistenti in Natura in rapporto al livello numerico di sovrappopolazione raggiunto sul Pianeta coerentemente con la perfetta analisi di Malthus, ma significa adottare stringenti controlli delle nascite che consentano un’esistenza degna di tale nome.

Non è certo l’insostenibilità finanziaria il criterio per sapere se ci è consentito di nascere e vivere!  

Con buona pace di tutte le seriose analisi economiche nelle quali è dato imbattersi.

19 maggio 2010