Atene brucia!
Uno degli anelli deboli della catena dell’euro è saltato: la Grecia.
Secondo le spiegazioni ufficiali si è trattato dell’esplosione del solito strumento appartenente alla categoria dei derivati messo in piedi da Goldman Sachs, nota esponente della criminalità finanziaria organizzata, per mascherare il reale livello dei conti pubblici greci.
Per quanto sicuramente veritiera sia tale spiegazione, tuttavia in questo momento essa appare di secondaria importanza rispetto al sistema rappresentato dall’euro.
Intendiamo dire che è da qui che occorre partire per qualche riflessione che consenta di delineare i possibili scenari conseguenti all’evento in questione.
La creazione della moneta unica europea non è stata la tappa finale di un processo di integrazione economica-politica fra gli Stati del Vecchio Continente in un superamento delle loro millenarie rivalità: essa è stata più semplicemente la realizzazione di un’ artificiale unità monetaria.
Sta di fatto che la cosiddetta Unione Europea raggruppa Paesi forti, come la Germania in primis e un gradino più sotto la Francia, dietro i quali si nascondono Paesi più deboli come Italia, Spagna e Portogallo in compagnia dell’Irlanda.
In sostanza non si tratta di un’area economicamente omogenea né di un’area politica unitaria dove il vero centro di potere è rappresentato, come ovvio, dalla Banca Centrale Europea.
Le linee guida ispirate ai restrittivi vincoli di Maastricht dovrebbero costituire il cemento, forse è meglio dire la camicia di forza, della UE impegnando i soci meno “virtuosi” a rispettare gli impegni assunti in sede di ingresso nell’Unione.
In realtà ogni Stato membro presenta specificità economiche-politiche provenienti da troppo lontano nel tempo per presumere che sia possibile cancellarle in un percorso di breve periodo come quello della moneta unica e, dunque, gli Stati meno robusti e più disordinati rappresentano costantemente un pericolo di sfaldamento del fragile edificio europeo.
Ciò è quello che oggi sta succedendo con la Grecia e che potrà verificarsi successivamente con altri Stati, compresa l’Italia al di là delle sciocchezze propagandate da Mr.Tremonti, di fronte ai quali la Grecia non è certamente in posizione poi tanto peggiore.
Se questo è il quadro complessivo in cui si situano gli avvenimenti odierni ciò che lascia sbalorditi è il piano di cosiddetto salvataggio che, dopo mille incertezze di parte naturalmente tedesca, viene varato in termini semplicemente assurdi.
Pur lasciando in disparte i reali destinatari degli “aiuti economici”, cioè ancora una volta banche e assicurazioni, vorremmo sapere come è possibile stabilire che i 110 miliardi di euro (non più i 120 originari) di tali “aiuti” vengano restituiti in un lasso di tempo di tre anni e per di più con un tasso d’interesse usurario del 5%? Si ricordi, in proposito, che tale somma rappresenta, secondo le informative correnti, il 40% del PIL greco cifrato in 280 miliardi di euro.
Qui non si tratta di un piano che comporta “lacrime e sangue”, ma solo sangue e davvero tanto oltre l’ immaginabile.
A questo punto è possibile che il detonatore acceso da Goldman Sachs susciti altri incendi più o meno distanziati nel tempo salvo l’intervento di misure di ingegneria creativa finanziaria che celino o ritardino il più possibile l’apparizione degli scompensi interni all’UE e all’euro.
In prospettiva è anche possibile immaginare che, un domani, si giunga a un euro a partecipazione più ristretta fondato sull’asse franco-tedesco e ai paesi più omogenei a tale asse.
L’altro aspetto che occorre considerare è il rapporto tra l’euro, non importa se largo o stretto, e il dollaro.
Il quadro mondiale rappresenta ormai soltanto tale rapporto valutario.
Le stesse Borse sono, in realtà, solo le espressioni delle quotazioni di cambio tra le due monete in dipendenza di precise convenienze conflittuali sotto il comando della mafia finanziaria internazionale.
Ora è vero che, scomparso il sistema di Bretton Woods con il dollaro a copertura aurea, tutta la carta moneta oggi esistente è pura carta straccia senza alcun valore intrinseco e, dunque, a corso forzoso e forzato.
Ciò vale sia per il dollaro che per l’euro.
Però il dollaro ha un punto di forza imprescindibile dato dal petrolio il cui prezzo è espresso in dollari e che, pertanto, viene manovrato a piacimento sui mercati con lo strumento dei derivati finanziari per sostenere la fantascientifica economia di debito americana che ha l’altra sua stampella nei colossali investimenti cinesi sempre sul dollaro.
A questo punto le quotazioni dell’euro rispetto al dollaro non sono certamente determinate dal maggiore o minore valore dell’uno rispetto all’altro perché entrambi valgono meno di nulla: è il dollaro che stabilisce il cambio dell’euro in base alle proprie convenienze con occhi puntati verso la Cina la cui massa di investimenti in dollari risulta terribilmente pericolosa sotto ogni aspetto.
Si è sentito parlare in questi giorni, in occasione della “crisi” greca, di un complotto del dollaro nei confronti dell’euro, ma, proprio per quello che abbiamo appena detto, ciò appare del tutto irreale.
Finché il petrolio rimane risorsa energetica mondiale, anche se sostituibile con altre fonti che è cosa in contrasto con gli interessi petroliferi, e finché il suo prezzo rimane espresso in dollari non vi è alcun bisogno di complottare contro l’euro.
Che quest’ultimo esista o non esista è cosa sostanzialmente indifferente per il dollaro e, anzi, la sua esistenza può risultare un comodo paravento per i giochini di periodico aggiustamento del deficit americano sul resto del mondo.
Se un domani si presentasse un nuovo quadro geo-economico-politico con attori come Cina, America Latina e Russia allora potrebbero verificarsi nuove situazioni che, al momento, risultano difficilmente prevedibili anche rispetto all’euro.
Per il momento ci aspettiamo soltanto un futuro di grande disordine e di molto sangue come è nelle cellule costitutive del capitalismo.
5 Maggio 2010